shouldn’t i stay, should i go

mi affanno tentando di allontanare le voci assillanti che ricordano incessantemente che condividere troppi geni fa spartire la stessa vita. angoscia pesante mi sale come se fossi al suo posto e non basta l’ennesimo ricinque euro, ponte, acquedotto, romani, pont du gardmbombo di “al vostro posto non ci so stare” per cavarmela senza sbucciature all’esistenza. scartai anzitempo un cioccolatino con una frase, “troppe volte si considera coraggioso chi ha troppa paura per scappare” e ho talmente temuto che mi corrispondesse che sono fuggita codarda. invece c’è chi è restato a prendersele quelle responsabilità strituranti che non portano nient’altro che denaro e sicurezza di se’. qualcuno mi deve ancora spiegare che soddisfazioni sono quelle che si possono comprare. mi fa male per lei pensare ad una giovinezza tarpata di anni in cui gestirsi la sopravvivenza non è nulla rispetto a gestirsi un’azienda, vivere senza aver assaporato una libertà più ampia di quella del recinto dentro cui ci confinano, senza mai aver gridato di gioia davanti ad un mare in fiamme e il cuore in tempesta. per quanti errori possa aver commesso, quello di ristringermi gli orizzonti con delle impalcature solide (che troppo assomigliano a sbarre) credo di averlo raramente fatto e mai diabolicamente perseverato. e, sebbene talvolta ne soffra, senza appigli in una mare di sargassi, anche nel marcio che inevitabilmente mi circonda riesco a sfrusciarmi con immenso piacere all’idea di poter allargare le braccia nuotando a rana subaquea in un acquario che ha i confini dell’oceano. eppure, mai mi accontento e vorrei andare ancora. senza sapere dove.