epuisé

ancora una volta approdo senza speranza alle mie lenzuola sporche per nascondermici dentro, intravedendo appena il grigio del primo fresco filtrare dalla finestra. cerco di gettarmi nei vortici di cose da fare per sporcare le mie mani e tenere lontani i dubbi e le voglie che si intrecciano tra l’aorta e l’intenzione. in uno spiazzo ingombro di lamiere arrugginite e pezzi d’auto, dormo assai male nel mio furgoncino con i riflessi dei lampioni arancioni tra le ciglia e due lunghe gambe ossute proibite mare, recinzione, ruggine, pastis, struggenteaccanto. forse è solo voglia di cambiare un po’ per assicurarmi che posso tutto ciò che voglio, benché gli occhi mi provino il contrario. forse è per rassicurarmi che nulla è per sempre, anche se non mi conforta poi per niente sapere che tutto ha una fine. Fantastico ad occhi semi aperti nel dormiveglia su passioni e ormoni per poi ritrovarmi schiaffata contro uno schermo con una tesi da scrivere e trovarmi persa come se fossi davanti ad un motore che non parte. Ma almeno potrei alzare la testa e chiedere aiuto, mentre adesso la affondo sempre più in intricati labirinti cartacei da cui non so tirare niente di buono. E ascolto lamentii per il poco spazio lasciatoti da un collettivo divoratore, mentre mi sento cadere nel precipizio della solitudine buia e fredda, incapace ad attaccarmi agli appigli. E immagino punte di iceberg fatte di dentiere sorridenti che fingono nella loro plasticità che ci sian ancora qualcosa da ridere mentre il mondo attorno cade disastrosamente come un cane di sapone si scioglie sotto la pioggia. La luce bianca dei neon mi ferisce per il non saper assaporare una birra tranquilla, per il mio repentino raffreddarmi avendo solo voglia di chiudermi come un riccio sotto le coperte. Contrasti acerbi sfilano brucianti sulla retina. Assaporo a pieni polmoni le boccate di ossigeno che ricevo crollata addormentata su un vecchio materasso di lana ivre come un bateau, sapendo che vale la pena svegliarmi per respirare. ma tappata qui, dietro delle finestre chiuse per non sentire l’eco di un proprietario che rinnova la sua casa, sento che presto dovrò riabbassarmi a leccare delle piastrelle bianche come escrementi di uccello, domata da un orologio al polso e un orizzonte che si ferma al tetto. Tormento angoscia per telefonate che non so fare, rimando partenze incapace di attraversare una strada per fare una lavatrice. E vorrei che fosse sempre estate, per potermi nascondere dietro una bottiglia di pastis scollando patelle dalle rocce sul mare.

foto di blue-melody deviantart