Incapace di tagliarmi i capelli, mi dico che non avrei dovuto trasferirmi su un nuovo blog con la zavorra del bagaglio dei miei vecchi post.
la pesantezza di mesi che mi porto addietro non si alleggerisce trasportando di blocco chili di byte del passato. sacchi di cemento sulle spalle e braccia a spalare sabbia e mani alla cazzuola mi pesano nella voglia di chiudere una parentesi che sembra grande quanto me.
quando si tratta di tempo è facile illudersi di ritornare indietro, ma si scorre sempre in avanti. le situazioni cambiano, nonostante la mia maldestraggine resti. goffa come una bambola, metto a nudo la mia sete di altri senza saperla esternare quando potrei lasciare trasparire gocce di attenzione.
che mi manchino le palle nelle relazioni umane è un fatto dietro a cui creo ostacoli insormontabili per legittimarmi la fuga e atterrare inevitabilmente tra i rovi.
parola dopo parola riesco a ricamare frasi dalla mia testa, è una maieutica difficile e dolorosa, senza ragione, senza motivo, semplicemente perché vorrei fosse altrimenti.
che ogni parola non dovesse uscire scorticando faringe e palato, sarebbe la prova che o sono ubriaca o fatta di adrenalina e altre storie. e invece, ogni sillaba sembra una scheggia di biancospino nel polpaccio. tremano i fonemi, insicuri della loro inutilità, come a rimbombare in una stanza dall’intonaco appena rifatto e ancora la polvere del cemento negli angoli.
come dire al respiro vicino di lasciarti sola con le tue fantasie, con i tuoi ricordi di un fugace scambio di sguardi, con le tue illusioni effimere come polvere e calcare?
perché le catene mi legano a ciò che ho paura di lasciare, ben sapendo che per spezzarle non ci vorrebbe più niente da perdere.
foto di hjsybnmhoimhnbu