in un giorno assolato d’ estate

sere fresche al caldo di un abbraccio  e baci come fragole appena raccolte, mi affaccio su un paesaggio di distese d’erba e cardi, fiorellini e achillea lungo le colline e le rocce scavate dal tempo.  sole tra le foglie sugli alberi, un eremo abbarbicato su una roccia scoscesa in mbuco, stenopea, recinto, filo spinato, montagnaezzo ad una valle, un motore che canticchia tranquillo e la luce che brilla nelle giornate d’agosto. e dura un battito di palpebre senza che possa saziarmene. anche se delle volte, sotto il sole cocente di un ombrellone che costa troppo per far ombra, a sentire storie di anelli e esercito nelle veci di polizia, tra le alghette marroncine che galleggiano sulle pietre levigate, ingurgitando redbull rum come a credere di essere ancora tra i banchi, crogiolandosi fino all’alba nella sabbia all’idea di pandistelle che si sciolgono sulle papille di lingue che vorrebbero incontrarsi, tre giorni sono quanto basta per tenere a mente una fumata sul balcone della nonna dietro le tendone spesse ridendo a crepapelle di difficoltà a cui c’è una soluzione dietro ogni angolo. ma qui, fotografo attimi attraverso i miei pantaloncini di tela bucati e la montagna mi sorride capovolgendo il vecchio filo spinato arrugginito.

mi dico che parto, prendo l’ancora sentendomi spersa in una canzone melanconica come a diciasett’anni, e se mi preparo ad abbandonare pomodori e barbabietole, è sempre sperando che ci sia poi un giorno per mettere il basilico nei vasetti di pesto. gli interrogativi di una serata scura sui ciottoli del fiume rimbombano soli tra i miei desideri bucolici e le mie voglie di defonce. il profumo della lavanda calma le mie notti insonni, la voglia di riuscire ad uscire da quei labirinti di libri e fogli mi fa dire che verranno momenti migliori. e le rive del mare…