appena prima

mi chiedo perché “errare” si porti dietro quella spaesante duplice accezione.

vago con una meta ben precisa  ma sconosciuta, nella difficoltà concreta di calibrare il compasso di mare. mi chiedo se mi sbaglio errando tra un tentativo e un altro.

piegata dai conati, in una notte dall’infinita impossibilità

di chiudere occhio, mi preservo qualche centimetro quadrato di lenzuola per non aver rimpianti.

Inforco il mio destriero sotto il sole che batte più di quanto non pulsi la mia testa, incredibilmente stupita dal gestire telefonate senza avere dormito.

E riprendo le forze che forse avevo troppo dissipato, spoletta tra due mondi in cui rincorro una felicità che si nasconde con astuzia dietro l’orizzonte.

 

Foto di http://ono-sendai.deviantart.com/

cos’hai messo nel caffé?

con incurante e incredibile leggerezza, passo dall’abisso di una tristezza senza via di fuga allo svolazzare dolce di una libellula inebriata.
come un reduce da un inverno solo per metà metaforico, aleggio tra i raggi di un sole sempre meno obliquo, con lo sguardo sperso.
carte e dadi in mano non mi bastano per poter scegliere il da farsi, impossibile da specificare l’aleatorietà  di un percorso in cui quello che facciamo contribuisce senza determinare ciò che sarà.primavera carezze pneumatici abbandono
una tonnellata di secondi ammucchiati a fantasticare, reprimendo sensazioni nell’impossibile dei sogni, non basta a dar conto, nella realtà, di due notti di carezze e una giornata di parole calde tra i rami e le radici di alti platani bianchi sfiorati dall’acqua.
fingo di non conoscere l’alfabeto dei segni sparsi nella corrente delle relazioni, per poi stupirmi di averne i frutti tra le mani, come una mela caduta all’improvviso mi stordirebbe sfracellandosi sulla mia fronte. Eppure, mi rendo conto che, nonostante le mie lenti spesse, opache e annebbiate, riesco a sentire con relativa nitidezza le schegge d’elettricità che talvolta mi bombardano talmente forte da farmi tremare e indietreggiare impaurita. scossa dal timore di far del male, trovo difficile creare una breccia in cui lasciarmi infiltrare di bene e piacere.
ma qualche volta mi arrendo, depongo corazza e scudo di un cuore imbottito che incanala il cielo e mi lascio andare sulle onde di un fiume in piena. adesso è ancora più difficile immaginare dove mi porteranno quelle carezze e quegli sguardi talmente forti da potersi toccare.
senza vederne pianificazione, pur avendone annunciato il presentimento, ho sciolto quel legame a senso unico, quel ritrovarmi tra braccia collaudate e adattatimisi dal tempo, per ritrovarmi tra ossa che mi punzecchiano lasciandomi segni e lividi sulle cosce. li ho già vesti marcarmi le gambe, nella notte dei tempi di ricordi smarriti, capendo all’improvviso di essere cresciuta, tanto più sicura e libera nel saper scegliere dove accarezzare con una lingua che si disseta. mi inebrio con un odore nuovo e mi chiedo come continuerò a farlo, senza nemmeno pormi la domanda di se ci sarà un seguito. rinvigorisco all’idea che ogni sogno possa realizzarsi, ringalluzzendo la fiammella del mio cuore che batte forte. e non voglio vederci scelte binarie, distintamente nette, ma un affiancarsi di momenti tutti altrettanto possibili. scardinando i dettati di una fisica irrigidita, voglio vivere tutto alla volta e, non potendolo fare, voglio perdermi nel dondolare di un’altalena nel giardino fiorito di una palazzina scrostata. il profumo di un gladiolo irrora una giornata che scorre veloce sui raggi di un sole che si riflette sui miei neuroni, alleviati dall’aver trovato un approdo. insicuro forse, tentennante quanto me, ma mi apre le porte del possibile. l’urgenza improvvisa di una presenza importante da un giorno all’altro (seppur l’ avessi già sentita qui e qui).
come se avessi ritrovato la chiave di un enigma, rileggo a ritroso attimi carichi di significato differito ed è come mi facessi un’iniezione di fiducia nell’orizzonte e in me stessa.

 

foto di http://1violetstar9.deviantart.com/gallery/

epuisé

ancora una volta approdo senza speranza alle mie lenzuola sporche per nascondermici dentro, intravedendo appena il grigio del primo fresco filtrare dalla finestra. cerco di gettarmi nei vortici di cose da fare per sporcare le mie mani e tenere lontani i dubbi e le voglie che si intrecciano tra l’aorta e l’intenzione. in uno spiazzo ingombro di lamiere arrugginite e pezzi d’auto, dormo assai male nel mio furgoncino con i riflessi dei lampioni arancioni tra le ciglia e due lunghe gambe ossute proibite mare, recinzione, ruggine, pastis, struggenteaccanto. forse è solo voglia di cambiare un po’ per assicurarmi che posso tutto ciò che voglio, benché gli occhi mi provino il contrario. forse è per rassicurarmi che nulla è per sempre, anche se non mi conforta poi per niente sapere che tutto ha una fine. Fantastico ad occhi semi aperti nel dormiveglia su passioni e ormoni per poi ritrovarmi schiaffata contro uno schermo con una tesi da scrivere e trovarmi persa come se fossi davanti ad un motore che non parte. Ma almeno potrei alzare la testa e chiedere aiuto, mentre adesso la affondo sempre più in intricati labirinti cartacei da cui non so tirare niente di buono. E ascolto lamentii per il poco spazio lasciatoti da un collettivo divoratore, mentre mi sento cadere nel precipizio della solitudine buia e fredda, incapace ad attaccarmi agli appigli. E immagino punte di iceberg fatte di dentiere sorridenti che fingono nella loro plasticità che ci sian ancora qualcosa da ridere mentre il mondo attorno cade disastrosamente come un cane di sapone si scioglie sotto la pioggia. La luce bianca dei neon mi ferisce per il non saper assaporare una birra tranquilla, per il mio repentino raffreddarmi avendo solo voglia di chiudermi come un riccio sotto le coperte. Contrasti acerbi sfilano brucianti sulla retina. Assaporo a pieni polmoni le boccate di ossigeno che ricevo crollata addormentata su un vecchio materasso di lana ivre come un bateau, sapendo che vale la pena svegliarmi per respirare. ma tappata qui, dietro delle finestre chiuse per non sentire l’eco di un proprietario che rinnova la sua casa, sento che presto dovrò riabbassarmi a leccare delle piastrelle bianche come escrementi di uccello, domata da un orologio al polso e un orizzonte che si ferma al tetto. Tormento angoscia per telefonate che non so fare, rimando partenze incapace di attraversare una strada per fare una lavatrice. E vorrei che fosse sempre estate, per potermi nascondere dietro una bottiglia di pastis scollando patelle dalle rocce sul mare.

foto di blue-melody deviantart